Benedetta Cosmi e il suo libro.


“Se la tengano gli altri una donna indifferente!” Benedetta Cosmi cita Propensio nel suo saggio “Non siamo figli controfigure. Docenti beat, studenti bit generation”, e di sicuro lei… una donna indifferente non è.
Oltre ad aver preso sempre parte attiva alle attività Universitaria ha dato veramente il meglio di sé nello scrivere ma anche e soprattutto nel promuovere il suo libro. Rivelando le proprie capacità e quelle apprese nel suo percorso di studi.
Più che riassumere il suo libro vorrei semplicemente far notare l’acume che può avere una ragazza formata in quella Facoltà tanto disprezzata e strapazzata da chi i media li conosce bene.
Oltre a descrivere le problematiche e le insofferenze che l’Università italiana può procurare a molti studenti perché la vorrebbero diversa, discorre sulla propria esperienza, fa quello che personalmente definisco “zapping espressivo” passando da Diego Velàsquez a commenti di studenti e interviste, testi e autori di esperienze di vita e al mondo virtuale.

Dal punto di vista stilistico sembra un quasi un flusso di coscienza un raccontare ad alta voce ciò che si pensa, di un mondo che si conosce abbastanza, uno stile non comune che può alle volte far perdere la trama narrativa ma allo stesso tempo induce ad essere un lettore attivo, il quale dopo aver letto un po’, ritorna su qualche frase, si sofferma,la sottolinea, la interpreta e la collega con la realtà oltre il libro.

Una “collega” Benedetta, così, come tanti altri studenti di Scienze della Comunicazione che ho avuto modo d’incontrare, con la capacità di… creare connessioni, di promuovere idee e mettere in moto quel senso critico che non guasta per migliorarsi e migliorare la realtà circostante. A tal proposito proprio nel suo libro scrive nero su bianco, ciò che per lei sarebbe una Università migliore, leggendo il saggio sembra quasi un campanellino che risuona e sveglia il paziente dall’ipnosi…in questo caso il paziente è proprio quell’Istituzione che descrive come “matura per un riscatto di orgoglio.”

Allo stesso tempo propone soluzioni e mette in primo piano il contributo che possono dare gli studenti che abitano le Facoltà. Affidare loro ruoli e non mansioni, dare loro una chance dentro e fuori l’Università, perché come cita in una delle sue frasi: “è faticoso essere tra i primi ad avere una chance, ma essere tra gli ultimi senza averne avuta una non è più rassicurante.”

Concordo con Benetta sull’organizzare meglio le attività, la didattica e gli spazi della Facoltà ma aggiungo, sulla base della mia esperienza, che i saperi le nostre Università, che non sono affatto indietro rispetto alla realtà manageriale italiana e nello specifico Scienze della Comunicazione per certi versi rispetto allo studio delle strategie comunicative, è avanti anni luce ed è proprio questa “asincronia temporale”, questo tempo diverso che crea una inevitabile incomprensione, tale tempo d’incontro deve essere accorciato e non rassegnarsi all’idea che “Due rette parallele si incontrano solo all'infinito quando ormai non gliene frega più niente” (L.D).

Le Facoltà hanno un ruolo fondamentale nel farsi conoscere promuovendo se stesse e i propri studenti e farsi apprezzare nel contesto lavorativo. Ma non con gli attuali movimenti, che hanno lo scopo “di dare colore” (come la stessa Benedetta descrive in un intervista)…e azzardo ad aggiungere con dubbio risultato, ma con azioni concrete all’interno delle Facoltà puntando sull’efficacia e l’efficienza.
Auguro un finale diverso a tutto questo fermento intorno alle Università rispetto a quello che Luciano De Crescenzo addita alla vita in generale: “La vita potrebbe essere divisa in tre fasi: Rivoluzione, Riflessione e Televisione, Si comincia con il voler cambiare il mondo e si finisce col cambiare i canali.”