ascoltare la conoscenza tacita:il ruolo del gioco nella formazione

Nell’ultimo decennio le imprese si sono trovate ad operare in una realtà caratterizzata da profonde rivoluzioni tecnologiche, da una crescente flessibilità, da profondi mutamenti nelle professioni. Viviamo nell’era post-industriale, nella quale per le imprese si è affermata l’importanza delle competenze, delle conoscenze, delle capacità e dell’apprendimento continuo.
Le risorse umane occupano quindi un ruolo centrale nella gestione delle aziende moderne; sono un vero e proprio capitale per l’impresa, un lavoratore nell’arco della propria vita è in grado di crescere professionalmente e socialmente, migliorando il proprio modo di lavorare sia singolarmente sia in gruppo. Le organizzazioni si sono rese progressivamente conto di quanto siano importanti le competenze aziendali (core) e quelle delle persone che in esse lavorano, per raggiungere efficacemente gli obiettivi. Nella psicologia organizzativa americana tra gli anni Sessanta e Settanta nasce un vero e proprio “movimento delle competenze” (Spencer 1991), volto a studiare il contributo personale e specifico di ciascun collaboratore. McClelland (1973) capì che ciò che valuta una competenza va oltre il titolo di studio perciò è determinata soprattutto da ciò che una persona sa veramente fare. Polanyi (1944) ci ha evidenziato che c’è una conoscenza tacita che va fatta emergere, e Nonaka e Takeuchi (1995) ci hanno suggerito il processo che le fa emergere, descritto nella “Spirale della conoscenza”. Si rende dunque necessario porre una grande cura nella gestione del personale attraverso una valutazione dei lavoratori secondo quelle che sono le loro effettive capacità e non solo in base alla loro posizione occupata all’interno dell’organizzazione. La cultura aziendale rappresenta uno strumento di gestione del personale al fine di motivare le persone, e farle sentire parte dell’azienda. (Piattaforme applicabili CRM, ERM)
Il segreto per lo sviluppo competitivo risulta sempre più insito nella risorsa umana che si distingue attraverso la capacità degli individui di acquisire, governare e applicare il patrimonio di conoscenze. In questo contesto, la performance aziendale viene valutata come l’effetto di vantaggi competitivi sempre più legati al know-how interno ed alle competenze acquisite e sviluppate nel tempo. Da qui nasce l’esigenza per un’azienda di misurare e valutare le performance attuali e future di ciascuna risorsa che ricopre uno specifico e predefinito ruolo, traducendo le competenze in comportamenti osservabili Diversi sono gli orientamenti di gestione delle risorse umane, tra cui quello relazionale, temporale, strategico; molteplici sono gli strumenti usati per attivare questi processi tra quelli citati approfondiremo la formazione e i suoi metodi. Negli anni sono state adottate, diverse tecniche, in presenza, bleanded e a distanza (FAD) l’attenzione è caduta sulla simulazione della quale abbiamo l’uso diffuso in diversi campi: dalle pratiche di negoziazione, alle strategie del territorio[1], una recente applicazione in capo medico[2] e nello specifico nella formazione [3] e la didattica[4] (simulazione in classe e su piattaforme tecnologiche e-learning).
Discorrendo sulla validità del gioco oltre il luogo comune e dopo aver fatto una breve classificazione si può stabilire la relazione tra: gioco, apprendimento e simulazione giocata. Il gioco di simulazione, può favorire la capacità di analisi, di ideazione, e di comunicazione, richiesta dai nuovi scenari di mercato. La simulazione, e nello specifico (il gioco di ruolo) nei suoi iter (briefing, gioco di simulazione, debriefing) raggiunge tale obiettivo: nella didattica e nella formazione aziendale. Prima ancora di arrivare in azienda le risorse umane attraversano un lungo percorso di socializzazione (per la sociologia: interiorizzare norme e valori) e istruzione. Questa ultima ha una grande responsabilità assolvendo un duplice ruolo: preparare l’allievo alla vita e al mondo del lavoro. Per far ciò grande responsabilità è delegata all’insegnante/formatore, che ha il dovere di favorire l’apprendimento con metodologie sempre più efficaci per trasmettere sapere e preparare gli allievi ad applicare il sapere acquisito.
Per "fare classe", non basta il suono della campanella e neppure le programmazioni o i metodi didattici. Per "fare classe", per arrivare a quella sintonia operativa è necessario che tra insegnanti e studenti si crei una sorta di "collusione" (McDermott, Tylbor 1996). Il termine, dal latino "col-ludere", significa "giocare insieme" (Galimberti 2005). Siccome nessuno può colludere da solo, è necessario che tutti, insegnanti e studenti "stiano al gioco", un gioco che, come tutti i giochi, ha le sue regole, un suo ordine, ed entro il quale ciascuno assume, in modo meno passivo di quanto potremmo credere, i ruoli istituzionali di insegnanti e allievi. L'insegnante guadagna il suo "potere" mostrando di "sapere" qualcosa che gli allievi non sanno, perché è il sapere che conferisce all'insegnante un certo peso nella classe come gioco di potere, perciò, che l'insegnante sappia più dell'allievo e quindi eserciti su di lui un certo potere è una "regola del gioco". Il problema sorge quando il sapere dell'insegnante s’irrigidisce e si cristallizza in un dominio di verità in cui non c'è più possibilità di “giocare”. Quando noi chiediamo a qualcuno qualcosa che non sappiamo, l'indicazione di una strada ad esempio, anche se l'interlocutore non è in grado di darci una risposta, lo ringraziamo comunque e siamo gentili con lui. Quando invece l'insegnante fa una domanda all'allievo (nel gioco si direbbe: "Fa la sua mossa") l'insegnante sa qual è la risposta, e, quando non arriva, di solito si altera. Mettiamoci ora dalla parte dell’allievo e vediamo le sue possibili mosse: o dà la risposta giusta e allora tutto va bene perché si è soddisfatto il "gioco di verità", oppure la dà sbagliata o addirittura fa "scena muta" (Costa 2005). In questi due ultimi casi la mossa dello studente non comunica all'insegnante un'informazione sulla materia, non soddisfa il "gioco di verità", ma un'informazione su di sé: sul tipo di giocatore, sul modo in cui gioca. A questo punto la sequenza si conclude con una contromossa dell'insegnante che commenterà la risposta dell'allievo in termini di verità ("giusto", "sbagliato") o di potere "bravo" piuttosto che "ancora non ci siamo". Qui il "gioco di potere" si salda col "gioco di verità" e diventa "gioco di dominio". Lo studente si blocca, si demotiva, e il gioco finisce, per tutti. Eppure, nella scuola, l'insegnante potrebbe disporre di un'altra mossa e modificare la regola che fa finire il gioco. Può farsi ricercatore più esperto fra altri ricercatori (gli allievi) e, senza perdere il suo ruolo nella classe nel "gioco di potere", può cambiarlo nel "gioco di verità" mutando il suo rapporto col sapere, poiché in una "ricerca" non si sa a priori come si concluderà il gioco, come finirà la partita. In questo modo si aprono i "giochi di libertà" dove insegnanti e allievi, non gli uni contro gli altri, ma tutti insieme, cambiano le "regole del gioco"(Rovatti 2005). Nella scuola non basta "entrare in ruolo" per avere un ruolo, ma bisogna sapersi conquistare la credibilità e l’autorità che il ruolo comporta, grazie ad un contratto psicologico con gli allievi. Solo così la scuola può diventare "maestra di vita", non tanto per i contenuti che trasmette, ma perché tante volte la vita ci obbliga a cambiare le "regole del gioco" (Galimberti 2005). La siulazione in aula offre l’opportunità di valutare il proprio insegnamento e il percorso di apprendimento.
Presso la facoltà di Scienze della Comunicazione già è applicata nei laboratori e alcuni O. L . della stessa, (opinion leader, ossia coloro che sanno farsi portatori e interpreti dell'opinione di altri, almeno di quelli che più somigliano loro: ad esempio i colleghi che lavorano nella loro stessa area, che svolgono compiti analoghi o che hanno la loro stessa anzianità di servizio) hanno saputo offrire gli spunti di riflessione più interessanti e quindi far avere un disegno completo ed esaustivo e avvalorare l’idea fin qui sviluppata. Dalle risposte alle domande sulla simulazione come tecnica per l’apprendimendo, la quale riproduce una realtà data, in un contesto protetto che consente di analizzare i propri errori si evince che: gli intervistati hanno dato conferma sui vantaggi della simulazione come tecnica formativa in quanto consente un ampio margine d’errore, cosa che nella realtà non è possibile, ed inoltre la ritengono un valido strumento far emergere il know how. Oltre a ciò i professionisti hanno dato un valore aggiunto alla nostra tesi, perché ognuno ha evidenziato una caratteristica utile che sostiene l'utilità di tale tecnica.
Tirando le somme possiamo sintetizzare questi commenti rilevando differenze tra simulazione e gioco di ruolo. Ciò che avvalora la tecnica della simulazione, è che da tempo è sperimentata ed in vari campi. E’ funzionale all’obiettivo formativo, ed avviene all’interno di uno scenario, che si svela, in un contesto protetto il quale, dà la possibilità di commettere un ampio margine di errori senza conseguenze nella realtà oggettiva. Ha un aspetto diagnostico, quindi attraverso il video feedback, è possibile osservare i propri comportamenti, eventualmente correggerli, o verificare il proprio stato d’apprendimento Inoltre può essere utilizzato dal relatore (che sarà indubbiamente un esperto) per: verificare lo stato d’apprendimento in progress dei partecipanti, carpire aspetti del comportamento altrimenti non esplicitati, o l’umore della classe. Tali conoscenze tacite possono essere anche non svelate al gruppo, e utilizzate a discrezione del relatore. Nella simulazione si è se stessi e quindi è osservabile un comportamento che di solito si adotta strategicamente, a differenza del gioco di ruolo in cui si finge di essere qualcun altro. Per dare maggiore validità formale nel gioco di ruolo è necessario l’uso dei simboli, sebbene l’aspetto ludico faccia da appannaggio, le regole del gioco, che sono le variabili indipendenti, inducono i partecipanti a rivelare comportamenti, atteggiamenti e conoscenze tacite. Molta importanza è data al debriefing che dà la possibilità di riflettere e discutere sullo scenario e sulle proprie scelte strategiche.
I nostri esperti vedono positivamente la simulazione nella didattica[5], perché prepara i ragazzi per la vita, impara a gestirsi e ad essere responsabili, la didattica ha maggior efficacia, rende la lezione interattiva e non passiva a differenza della classica lezione frontale anche una simulazione ha maggior efficacia quando chi insegna la teoria è anche il docente della simulazione. E’ una reale preparazione per il mondo del lavoro. In linea di massima è bene tenerla staccata dalla valutazione, tuttavia si potrebbe pensare ad un esame in forma di valutazione, o come strumento di autocorrezione per provare a se stessi le proprie capacità che possono essere sia padroneggiare le conoscenze che la capacità d’improvvisare. La simulazione in ogni caso richiede tempi e mezzi che purtroppo non trovano riscontro nella realtà, fatta di corsi di poche ore e con strumenti poco adeguati. Inoltre spesso c’è una reticenza ad accettarla nelle scuole[6].
Abbiamo conferma che la simulazione è di grande utilità nella formazione, tuttavia va a scontrarsi con alcune questioni sia di ordine ideologico sia di ordine pratico. Dal punto di vista ideologico la simulazione è apprezzata se c’è una predisposizione dovuta ad una buona “cultura aziendale”, che prevede una collaborazione di tutti i fattori organizzativi ed un ciclo di formazione continua. Andando nello specifico, un’azienda con una buona “cultura” presenta la simulazione preparando i partecipanti con il debriefing, rendendoli consapevoli che non è un momento puramente ludico, ma la finalità della simulazione è quella di far diventare più efficace il processo d’apprendimento rendendo pratiche le teorie esposte, favorendo il processo che fa emergere la conoscenza tacita, di conseguenza il buon risultato contribuirà a rendere autorevole tale tecnica. E’ uno strumento utilissimo, ma va progettato con cura e utilizzato con cautela, lo psicologo che affianca il formatore è una figura di notevole importanza per capire come essa fa emergere diversità, e qualità innate; ma la simulazione o il gioco di ruolo devono tenere conto dei suoi destinatari quindi: le simulazioni devono essere direttamente attinenti a quello che i partecipanti già fanno, o allo sviluppo del loro potenziale e quindi non è producente collocare il partecipante, in una dimensione lontanissima dalla sua posizione reale. Inoltre si nel gioco di ruolo, per l’assegnazione dei ruoli, si ritiene opportuna la presenza dello psicologo. Dal punto di vista pratico la simulazione s’imbatte su un territorio, spesso impreparato materialmente, non ci sono: né mezzi, né tempi adeguati. Inoltre incontra anche un problema di ordine economico perchè le simulazioni richiedono più tempo, per cui o si applica un prolungamento dei giorni di formazione aumentando il costo del corso, o si taglia il tempo dedicato alla teoria e quindi l’aula ha meno informazioni, tuttavia si può uscire da questa situazione attraverso la mediazione.
Si auspica che complessivamente, che questo articolo sia stato uno strumento utile ed efficace per comprendere meglio i meccanismi che ruotano intorno alle scelte strategiche per la valorizzazione le persona durante le varie fasi dell’apprendimento..


“La scuola non deve mai dimenticare di avere a che fare con individui ancora immaturi, ai quali non è lecito negare il diritto di indugiare in determinate fasi, seppur sgradevoli, dello sviluppo. Essa non deve assumere la prerogativa d’inesorabilità, propria della vita, non deve voler essere più che un gioco di vita”
(Freud 1905).

[1] Simulazione e territorio http://www.apat.it/
[2] Simulazione e medicina http://www.simulearn.it/
[3] Giochi di simulazione per formazione e management http://www.giostra.it/; http://www.problemsetting.com/pages/dilemma.htm
[4] Simulazione e didattica www.media.unisi.it/cirg
[5] Gioco e didattica: http://gdr2.org/archivio/studio/pantanella.htm ; http://www.rill.it/inediti/historialudens.htm
[6] http://www.trovarsinrete.org/antinucci.htm

pronome personale: "io"

Viso è ciò che è visibile col viso , e viceversa diventa il totale di ciò che si vede .
Grazie al recupero dell’aurea sacrale (nasconde o mostra) il “visus” rende divino o immortale il suo portatore.
Balsàzs dice appunto che nel primo piano c’è spesso la drammatica rivelazione di ciò che realmente si nasconde nell’apparenza delle cose.
Avatar, lifting,viso, maschera,teschio che cosa hanno in comune?
C’è un filo conduttore?
Partiamo dalle maschere, la loro funzione antropologica -il loro essere presenti in moltissime culture-va ben oltre l’esigenza di poter mutare persona o identità, esse hanno un fascino e un inquietudine che coinvolgono tutti.
La maschera è un sipario che si apre sul teschio, essa è replica inorganica del viso organico,tende a costituirsi come unità e anche come identità del vivo col morto, dell’essere col nulla.
Ma come si costruisce un identità?Essa è contrasiva e contestuale ,(Sarnelli) non esistono identità pure (J.Corrad ) viviamo in un epoca definita da Bauman ..modernità liquida..nel senso che muta continuamente le sue forme, non è statica ma dinamica, questo non evitando conseguenze come la mancanza di senso di appartenenza, mancanza di radici, dove la comunità non è altro che intesa come una “comunità guardaroba”(bauman), dove ognuno assume il ruolo da spettatore sullo scenario mondiale proiettato dai media, che hanno funzione di Agenda setting (McCombs11962, teoria del trasferimento di salienza, i media dettano argomenti sui quali parlare). Quando essi non parlano più di un determinato argomento lo spettacolo è finito e inesorabilmente ognuno indossa il proprio abito e se ne va.
M a cos’è un ruolo?
Il ruolo si differenzia dallo status in quanto quest’ultimo (Linton si deve accostamento tra i due) è interpretato come posizione sociale ordinata riferita ad un ambito sociale.Ad esso vengono ricondotti diritti e doveri, può cambiare il soggetto ma diritti e doveri restano.Esempio Lo Status di cittadino comporta assolvere diritti e doveri, ma un cittadino può ricoprire vari ruoli,madre,moglie,figlia. Io definibile con un “noi”.
Merton arricchisce questa tematica identificando la molteplicità di ruoli con il termine rol-set.
G.H.Mead nella sua opera Mind, self and society afferma che nel processo dell’assunzione di ruolo, si devono tener presenti le aspettative altrui, essere capaci di assumere il punto di vista altrui.
Goffman parla del ruolo in connessione con maschera e che ognuno di noi ne indossa una molteplicità assumendo identità plurime. (Pirandello 1 nessuno centomila)
Ma se il sistema sociale è formato da interazioni continue,(teoria interazionismo simbolico Mead) qual è il ruolo dei Media(tutti i mezzi di comunicazione dalla carta scritta,tv,web) e il loro impatto sulla condotta individuale?
Le case sono diventate scenari di fruizioni differenziate,dove mezzi ritagliano nuovi spazi personali e sociali,muovendosi con l’utente(telefonini) condividendo sia l’uso personale che sociale, (tv, pc, cinema, internet).
Ma ci sono spazi che ci creiamo nella società post-idustriale, (definita l’era dell’informazione, nell’era dell’ ICT: international, commnuniquetion, technology) che non sono reali ma virtuali,non nel senso che non esistono ma nel senso che non sono realtà materiali, tangibili.
A proposito di internet nel world wide web,( Cyberspazio), il portatore diretto del sapere non è più la comunità fisica e la sua memoria corporea ma la memoria collettiva,che sfocia nell’apprendimento cooperativo e dà vita ad una intelligenza collettiva.
La cultura di rete è fuori dal territorio e dal tempo, nelle sue parole esiste solo in tempo reale ,è priva di riferimenti spazio-temporali.
Gli spazi virtuali sono regni ipervisivi .Niente corpo niente vulnerabilità.,la realtà virtuale implica la perdita del senso di realtà,è un mondo putativo nel quale il mondo reale resta fuori,qui è possibile esser come io etere e proteiforme,liberati dalla”pesantezza” del proprio corpo.
Il volo verso la virtualità diviene fuga da sè ,difesa contro una realtà e un mondo reale che sono diventati sempre più pericolosi e difficili da gestire.
Grazie alla possibilità di cambiare Avatar siamo in grado di essere chiunque e di creare rapporti con chiunque .Questo può essere un problema o una soluzione a seconda del caso.
Studi sui MORPG giochi di ruolo ondine identificano la possibilità di assumere vari ruoli in contesti completamente diversi. Con il risultato di avere la possibilità di esplicitare caratteristiche che nel mondo reale limitiamo o nascondiamo.Ma queste caratteristiche sono sempre positive,se nella realtà inibiamo la nostra aggressività qual è il confine nel modo virtuale?
Lo studio sulle mappe mentali e la costruzione della reatà evidenzia che percepiamo la realtà così come l’abbiamo costruita nei nostri schemi.Se questa furvianza della realtà da vero a percepita è possibile nel mondo tangibile e nei rapporti verificabili empiricamente lo è ancora più nel mondo intangibile, dove assumiamo falsi ruoli,mettendoci sempre una maschera diversa.
Fino a che punto i rapporti creati nelle chat sono “reali”?con chi parliamo veramente e noi chi siamo veramente? L’immagine che ci costruiamo è quella reale?o è un costrutto mentale?
I Cybernauti positivisti direbbero nel suo contesto si. Ma noi in quanto esseri dotati si senso e materialità, che abbiamo bisogno di realtà tangibili possiamo vivere 24 ore su 24 in un modo che crolla (insieme ai “nostri” rapporti e legami virtualmente attendibili) al venir meno di un alimentazione elettronica?.



Libri consultati:
Teorie della comunicazione di massa Sara Bentivegna
Comunicazione Visuale Canevacci
I frutti puri impazziscono j.Corrad
Psicologia Generale Luigi Anolli,Paolo Legrenzi
Manuale di Psicologia sociale Giuseppe Mantovani
Tecnocultura Kevin Robins, Frank Webster
Remediarion Jay david Bolter,Richiard Grusin
I segni dell’appartenenza Sarnelli

link prima poesia

questa è proprio la preistoria..:) scitta 5 anni fa circa
titolo: emozioni

http://www.mbutozone.it/poesie/emozioni.htm

link sul mio primo lavoro pubblicato in rete

slite sul libro di manuel castells

http://w3.uniroma1.it/dinicola/sdc/socorg04/ripasso/castells2.pdf

commento su pirati nella Silicon walley

Commento su “Pirati nella Silicon Walley”

Più che il riassunto del film vorrei scrivere qualche riflessione scaturitami dalla visione.
Oltre a mettere in evidenza le caratteristiche generali del popolo americano,(un popolo di sognatori e a mio avviso, in casi estermi anche un po’ fanatico),mette anche in evidenza l’abilità e la tenacia che si deve avere per raggiungere i propri obiettivi.
Pìù che la storia di due geni sembra la storia di due esperti di marketing.
Bill parlando di Steve dice: “lui vede quello che crede”, il marketing crea nuovi bisogni e in fondo non abbiamo tutti bisogno di credere?
La genialità sta nel creare nuove credenze.BILL e Steve hanno creduto in qualcosa che non esisteva e poi hanno fatto in modo che esistesse..partendo dai linguaggi, fino a creare la Microsoft e la Apple.
Sono stati bravi a far credere di essere geniali non solo agli interlocutori del film ma anche a chi nel mondo reale si fa un idea di loro;io stessa ho sempre pensato a loro come grandi inventori in realtà ora credo che sanno cogliere le opportunità e sanno essere lungimiranti.
Non li definirei degli studiosi di ingegneria,ma creativi.Non nel senso stretto della parola e cioè creare/inventare una cosa che prima non c’era ma quella dettata da un’intelligenza non logica, più evidente in alcuni individui che sono in grado di produrre novità e cambiamenti grazie alla loro capacità di intuire nuove connessioni tra pensieri ed oggetti.
Alcuni ricercatori associano la creativià a chi attraversa uno stato di malattia mentale,in quanto in quelle condizione si interrompe il percorso logico della mente e si dà vita alle cose meno pensabili.
L’esigenza di studiare aspetti dell’intelligenza non misurabili attraverso il ragionamento logico portò Wertheimer a condurre le prime ricerche sulla creatività, attorno agli anni ’40 del secolo scorso da queste ricerche si evince che la creatività sembra influenzata positivamente dalla capacità individuale di riorganizzare continuamente la propria vita, mentre ne è ostacolata da tratti di dipendenza, blocchi emozionali e nevrosi di questi ultimi Steven ne è un esempio.
Un’ alto fattore che ha contribuito alla sviluppo della loro creatività è l’ambiente che ha contribuito a identificarli come persone dallo spirito libero. Nel film hanno fatto sempre ciò che hanno voluto senza rendere conto.
E. P. Torrance, negli anni ’60 si occupò dell’importanza della creatività nella scuola. Egli notò che la creatività ha la possibilità di svilupparsi in ambienti non autoritari che riducano i controlli, caratteristiche in genere non presenti nel contesto scolastico, dove l’educazione è ispirata a modelli di uniformità ed è pensata per un gruppo omogeneo. A scuola l’alunno creativo si trova di conseguenza costretto a ridurre le sue prestazioni, in quanto la sua creatività mal si combina con l’acquisizione di contenuti programmati che non lasciano spazio ad itinerari alternativi. Vi è inoltre un limite da parte degli insegnanti che da un lato sembrano desiderare la creatività dell’alunno. Ma dall’altro non riescono a favorirla per limiti di personalità e rigidità istituzionali .
La possibilità di esporre le proprie invenzioni così come accade nel film, è sicuramente indice di apertura al confronto oltre che voglia di mettersi in gioco.
C’è un altro fattore che ha fatto di quei due “furboni” uomini di successo, i loro collaboratori, che credono nel loro leader e nella mission dell’azienda perché loro come tutti “vedono ciò che credono”.
Per concludere:questo film mi ha fatto riflette sulla creatività non è intuizione ma sintesi della realtà che vive intorno a noi, degli oggetti, delle persone dei simboli, delle sensazioni che stimolano la nostra percezione.
Creatività è vedere ogni giorno il mondo in modo nuovo,vedere come vedono i bambini,giocare con le cose ,è sapere che nel quotidiano possiamo ancora scoprire le cose più sorprendenti.